Omelia della II Domenica di Quaresima

Fratelli e Sorelle carissimi, devo dire che è proprio curioso quel forno fumante e quella fiaccola accesa che passano tra gli animali divisi da Abramo, su ordine di Dio. Cosa significa quel forno fumante che passa tra gli animali divisi? Sicuramente, stando all’archeologia, si tratta di un piccolo forno per il pane, che si identifica come un segno di abbondanza. Dio si impegna a proteggere, a nutrire il popolo immenso che discenderà da Abramo. La fiaccola ardente? È il segno che Dio sarà luce ai passi del suo popolo. È un’alleanza offerta da Dio, che l’uomo è chiamato ad accogliere e rispettare, nella. pace, e nell’amore. Gli animali divisi indicano la serietà dell’impegno. L’uomo davanti a Dio è degno della sorte di quegli animali, ma Dio è misericordioso e dona vita e luce, ma attenzione, è anche Giudice Potente. Come si vede il rito compiuto da Abramo, su ordine di Dio, non coincide precisamente con il rito di alleanza tra due uomini. Quello che ci colpisce di questa narrazione, oltre la misericordia di Dio, è la costanza di Abramo nello scacciare gli uccelli rapaci. Abramo arriva fino alla sera, al tramontare del sole. A questo punto Abramo avverte un torpore, una svogliatezza nell’attendere. È il momento della tentazione. A questo torpore segue in Abramo un oscuro terrore, di chi avverte che è sull’orlo di cedere alle ne fattezze del male. Di chi si sente oppresso dal pensiero di essersi ingannato. È il terrore oscuro di chi sente la sua fede in pericolo; di considerare le difficoltà del mantenimento di un popolo numeroso. È notte; e la notte suggerisce il riposo, la fine della giornata; ma Abramo lotta contro il sonno, come prima lottava contro gli uccelli del cielo. E proprio quando la fede di Abramo è allo spasimo, Dio si rende presente, con i segni di un forno e di una fiaccola. Quella fiaccola che illumina la notte è facile leggerla come l’immagine di Cristo, Luce del mondo. E quel forno per il pane è ancora facile rapportarlo a Cristo, che nel suo amore per noi (il fuoco del forno) si è fatto nostro cibo: Pane disceso dal cielo che ci sostiene nel cammino, come già la manna nel deserto. Il Vangelo ci presenta Cristo che su di un alto monte si trasfigura: è la Luce del mondo. Mosè ed Elia compaiono a fianco di lui, riverenti. I discepoli sono oppressi dal sonno, ma tuttavia rimangono svegli; la meraviglia, la bellezza, la beatitudine li sottraggono al sonno. Ma ai discepoli sfugge la portata del discorso centrato sull’andare a Gerusalemme di Gesù, per la sua dipartita da questo mondo. Pietro ha in mente ben altro; chiede a Gesù di poter fare tre capanne, “una per te, una per Mosè e una per Elia”. Per Pietro è giunto il compimento di tutto. Sono giunti i cieli e terra nuovi. Ma le cose non stanno così, come le pensa Pietro. Una nube avvolge tutto e una voce dice: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Un invito a non ascoltare sé stessi, ma Gesù il Signore. Chi ascolta sé stesso e non il Cristo si comporta da “nemico della croce di Cristo”, come dice san Paolo (Fil 3,18). E quanti oggi sono nemici della croce di Cristo! Sono quelli che leggendo il Vangelo non ascoltano il Vangelo, ma il loro quieto vivere, oscurando così la forza rinnovatrice del Vangelo. Sono quelli che hanno occhi che vedono, ma cuore che non vuol vedere; e così leggendo il Vangelo ascoltano sé stessi e vogliono trovare l’avallo alla loro mediocrità, la giustificazione della loro avversione alla croce. È la storia della formazione delle eresie attuali che si stanno sviluppando all’interno della Sua Chiesa; attribuire a Dio i nostri errori e quindi essere obbedienti a Dio datore non della verità, ma dei nostri errori. Orribile a dir poco! Eppure, fratelli e sorelle, accade adesso, in questo tempo. Ma noi vogliamo ascoltare Gesù, il suo Vangelo. Vogliamo seguirlo prendendo con umiltà la nostra croce, testimoniando con la nostra vita la fecondità della sua croce in noi. Noi dobbiamo cercare il sacrificio, il che vuol dire che bisogna scegliere quella che ci costa di più in lotta all’amor proprio, per un maggiore amore verso il nostro prossimo. Non parlo di penitenze corporee, che non vanno escluse, ma parlo di lotta all’amor proprio; le penitenze corporee le facciamo più volentieri che le rinunce del cuore, quelle che ci tengono ancorate alla materia e al mondo. Abramo accolse l’alleanza di Dio nel segno di un sacrificio: gli animali divisi. Noi accogliamo la nuova ed eterna alleanza stabilita nel sangue di Cristo, morto sulla croce per espiare tutti i peccati dell’umanità corrotta dal male e dal peccato. Chi vuole un’alleanza con Dio fuori del sacrificio di Cristo, al quale è invitato a partecipare, è un illuso frequentatore del peccato. Ma diciamo col salmista queste parole, noi che non siamo nemici della croce di Cristo: “Il mio cuore ripete il tuo invito: ‹Cercate il mio volto›. Il tuo volto, Signore, io cerco”. Cerchiamo il volto del Signore nel Vangelo, vivendo il Vangelo. Quel volto ci apparirà, ci illuminerà, e ci impegneremo a rendere non il 10% o il 40%, ma il 100%. Chi coglie, nella fede, nella speranza e nella carità, il volto di Cristo non può che essere rapito da lui, che “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”. Ma coloro che sono nemici della croce di Cristo, e che accarezzano perciò il vizio, non avranno il corpo trasfigurato in conformità al corpo glorioso di Cristo, ma il loro corpo sarà marcato in eterno da una risurrezione di condanna e di infamia, nelle profondità dell’inferno. San Paolo ben ci avverte (Gal 6,8): “Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna”.

Laudetur Iesus Christi. Semper Laudetur

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